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Sindone 

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Molto interessante e suggestivo l'articolo pubblicato it 22 maggio e 5 giugno scorsi su "Il Risveglio" dal dott. Giorgio Inaudi: "In Val di Lanzo la via della S. Sindone".

L' ho letto tutto d'un fiato con I'interesse particolare the suscita la Sindone in noi torinesi e, in noi valligiani, tutto ciò che riguarda le Valli di Lanzo, però alla fine mi ha lasciato alquanto perplesso l'affermazione perentoria: «La Sindone passò più di una volta per la nostra Valle (d'Ala) come documentò in diverse sue ricerche l'illustre studioso e fondatore della Società Storica delle Valli di Lanzo, Barone Giovanni Donna D'Oldenico...

Certamente tornò a passare nella nostra Valle (d'Ala) net 1578 quando fu nuovamente trasportata, questa volta definitivamente, a Torino...Ancora una volta occorreva un percorso che fosse, se non clandestino, almeno discreto: e fu di nuovo scelta la strada della Valle d'Ala... ».Vengono poi ipotizzati i colli alpini d'Arnas e Collerin come i due passi di confine più ovvi per la traversata della valle francese dell'Arc fino in Val di Lanzo.

Per dissipare le mie per-plessità rintracciai la ricerca del dott. Donna D'Oldenico e potei riscontrare che su di essa si basa principalmente il dott. Inaudi. Mi attengo al testo delta ricerca pubblicata net 1959 sul n. I della rivista Sindone quale 4° fascicolo della collana editoriale della società Storica delle Valli di Lanzo.

Qui il Donna D'Oldenico illustra magistralmente i motivi storici ed artistici per cui si possa ritenere che la Sindone sia passata due volte, nel 1535 e net 1578 in Val d'Ala e precisa di voler rettificare una sua precedente affermazione, in un articolo della "Rivista Biellese, 1, 1953", nella quale ipotizzava it passaggio della Sindone da Aosta nel 1578.

Mi riferisco pure all'ampliamento dell'indagine sugli affreschi di Voragno pubblicata nel 1980 sul libro in onore di Carlo Felice Bona a cura della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti: qui il Donna D'Oldenico si diffonde nel sostenere il passaggio della Sindone in Val d'Ala net 1535, ma inspiegabilmente tace del tutto sul passaggio del 1578, inducendo a pensare, per la sua diligenza di ricercatore sempre intento ad approfondire ed anche correggere le sue acquisizioni, che fosse insorto al riguardo qualche motivo d'incertezza.

 

Percorso della Sindone in Val di Lanzo

 

 

 

 

 

 

 

 




Quello che
non mi persuade più è l'affermazione che “La raffigurazione del Santo Sudario nelle Valli di Lanzo esiste solo in Val d'Ala ed in nessuna delle altre Valli”, per concludere the esclusivamente in Val d'Ala e passata la Sindone.

E vero che gli affreschi di Voragno costituiscono il più insigne ed antico reperto sindonico delle Valli di Lanzo, ma non ne è l' unico: non si possono ignorare i numerosi altri reperti sparsi soprattutto in Val di Viù, anche se più poveri e modesti.

Non sempre, per suffragare il ricordo del passaggio o la devozione alla Sindone, c'era un Duca di Savoia fuggiasco da Chambery che accompagnasse con somma trepidazione la Sindone nel suo drammatico peregrinare e fosse quindi spinto a ricordarne i momenti più significativi con un dipinto ex voto, come opina il Donna D'Oldenico nei riguardi dell'affresco di Voragno per parte del duca Carlo III reduce da tristi rovesci politici e militari, net 1535.

Nel 1578, anno della eventuale seconda traversata della Sindone per la Valli di Lanzo, c'era invece il duca Emanuele Filiberto al colmo dei suoi successi, in circostanze di totale sicurezza e discreta tranquillità politica, che stava instaurando it suo regno a Torino ove attendeva fiducioso l'arrivo di San Carlo Borromeo e delta Sindone: gli premeva soprattutto che l'insigne reliquia giungesse il più discretamente possibile e per in più breve percorso per evitare le rimostranze e le eventuali opposizioni dei Savoiardi i quali temevano, e ben a ragione, di essere privati per sempre del sacro Lino.

Ora, il silenzio sul passaggio delta Sindone net 1578 come emerge dallo scritto del 1980 del Donna D' Oldenico, mi incoraggia ad esprimere alcune supposizioni su un eventuale passaggio delta Sindone in Valle di Viù.

 

  

 

Perchè rifare il percorso da Bessan per i difficili colli d'Arnas o del Collerin, mentre era incomparabilmente più agevole e breve it passaggio per it passo dell'Autaret e conseguentemente in Valle di Viu?

Nel 1535 il drappello o corteo che scortava la Sindone doveva evitare, come dice bene il Donna D'Oldenico, i calvinisti che imperversavano per la Valle d'Aosta e soprattutto i francesi che con le loro truppe minacciavano di invadere la Valsusa attraverso il Moncenisio e potevano facilmente affacciarsi al passo dell'Autaret come di fatto hanno fatto in tempi diversi nel corso della storia, anche recente (nel 1945).

Ma nel 1578 non c'era più alcun pericolo da parte degli eserciti francesi; soltanto, come dice il Donna e ricalca l'Inaudi, «ancora una volta occorreva un percorso che .fosse, se non clandestino, almeno discreto».

Permanevano ancora i pericolosi calvinisti in Valle d'Aosta, ma siccome non c'era più la minaccia delle truppe francesi per la Valsusa e l'Autaret, ecco che il percorso più discreto, molto più diretto, breve e agevole per Torino, anziché la Val d'Ala veniva ad essere la Val di Viù raggiunta per il valico dell'Autaret affidabilissimo perfino per le cavalcature.

E pur vero, come afferma il Donna D'Oldenico, che in quei tempi si verificavano ricorrenti turbolenze ugonotte tra Oulx e l'alta Valsusa e gli ugonotti erano noti come rabbiosi distruttori di reliquie, ma e noto che Oulx e assai distante dalla Valle di Viù che poi si trova ben difesa dagli alti contrafforti alpini che nettamente la separano dalla Valle di Susa.

Concretamente non risultano, nel corso della storia, incursioni di eretici dalla Valsusa in Val di Viù, e tanto meno, nella fattispecie, era pensabile che eventuali ugonotti potessero essere avvisati del segreto e rapido passaggio del drappello della Sindone, che in qualche giornata di cammino, anche cavalcando, poteva rapidamente risalire la Valle dell'Arc sopra Bessans per raggiungere Lucento, in quei di Torino, attraverso l'Autaret.

Ora, se esaminiamo le traversate realisticamente possibili senza troppe acrobazie alpinistiche e percorse nei secoli dalla Valle dell'Arc alle Valli di Lanzo, troviamo almeno sei valichi: per la Valle di Viù ci sono l'Autaret e l’Arnas sui tremila metri, nonché la Resta e la Valletta sui tremiladuecento.

Per la Val d'Ala ci sono il Collerin sui tremiladuecento ed il colle della Bessanese, disagevole assai. sui tremiladuecentocinquanta metri, che immettono sul Pian delta Mussa.

Da notare che, scendendo dal passo d'Arnas in Val di Viù, si trova sopra il lago della Rossa un buon sentiero che risalendo un colle sui duemilaottocento porta pure in Val d'Ala presso l'Alpe Venoni al Pian della Mussa: e questo è proprio il passaggio più congeniale al Donna D'Oldenico.

I valichi più frequentati arrivando da Averolle (in Francia) furono sempre I'Autaret e l’Arnas: 1'Autaret è sempre stato di gran lunga il preferito per la relativa comodità di accesso e la maggior sicurezza della mulattiera più adatta alle cavalcature. L'Arnas è un po' più breve ma più scosceso, soprattutto dal versante italiano: qui è generalmente descritto come «incassato fra una parete di roccia a picco ed un muro di ghiaccio quasi verticale» (vedi Clavarino, Teol. Carpano e Barocelli).

Dal versante francese dell'Arnas è giocoforza attraversare un ghiacciaio assai pericoloso per numerosi crepacci, insidiosi soprattutto d' estate quando la neve si squaglia ed allora è più sicuro risalire per il valico del Collerin più alto ma ai margini del ghiacciaio e che immette però in Val d'Ala.

 

 Curioso I'equivoco del Donna D'Oldenico che scambia la pericolosità estiva del ghiacciaio d'Arnas attribuendola al Collerin: é proprio il contrario!

Qui mi appare poi irrealmente patetica la poetica descrizione che l'Inaudi fa, con un tocco di fantasia, del corteo sindonico che net 1535 attraverserebbe processionalmente i valichi alpini dell'Arnas o del Collerin con una carovana di prelati ed armigeri tra cui il Vescovo di Saint Jean de Maurienne cardinal Ludovico de Gorrevod ...che oltretutto non era in perfette condizioni se mori qualche mese dopo, in novembre, come offerma il can. Gros, storico della diocesi di Maurienne. E però anche vero che un altro canonico, Fr. Mugnier, lo dà per morto quattro anni dopo, nel 1539.

E qui sorge spontanea una domanda: ma perchè voler sostenere che la Sindone sia scesa per la Valle di Viù? Perchè, oltre ai motivi indiscutibili di percorso più facile, agevole e breve, ci sono numerosi reperti sindonici, non citati dal Donna D'Oldenico, che sembrano proprio tracciare questo itinerario.

Dal valico dell'Autaret alla rettoria di San Vito di Piazzette d' Usseglio ci sono circa 19 km. di percorso. Nella chiesa di San Vito c'e un palliotto ricordato dal Cibrario nell'Ottocento, recante l'effigie della Sindone con San Carlo Borromeo in venerazione: tale evento avvenne proprio all'arrivo della Sindone a Torino net 1578.

Da Piazzette, in poco più di tre km. e mezzo Si raggiunge Chiandusseglio di Lemie: qui, nella cappella di S. Anna è custodita una modesta tela recante la Sindone venerata da San Francesco da Paola, ora al sicuro altrove per difenderla dai ladri.

Dopo nemmeno un km. eccoci al ponte sull'Ovarda all'ingresso di Lemie: proprio abbarbicata al ponte si trova la Cappella del S. Sudario o della Sindone, antichissima.

Purtroppo non contiene affreschi: incredibile, ma forse sono stati raschiati. I suoi muri risalenti certamente al 1600 erano ornati di dipinti poverissimi che furono ritenuti obbrobriosi dall'Arcivescovo di Torino Francesco Luserna Rorengo di Rora the dal 3 al 6 agosto del 1769 fece a Lemie la visita pastorale.

 

Vista la cappella del Sudario decretò 1' interdetto da ogni funzione sacra finchè non fosse rifatto it pavimento tutto guasto, intonacate le pareti ed il fornice completamente scrostati, riparate le mura esterne fin dalle fondamenta, « deleanturque imagines sanctorum quae tam foede et indecenter omnino expressae sunt». Poveri lemiesi: avranno scovato un ben scadente pittorucolo per onorare la Sindone! Si doveva pero approntare al più presto “tahellam referentem imaginem SS.mae Sindoni” da appendersi alla parete sopra l'altare: ed è evidentemente la decorosa tela ancor oggi esistente.

Se la chiesetta era povera, la sua posizione strategica presso il ponte dell'Ovarda segnava il passaggio obbligato dell’antica mulattiera di fondo valle che proprio qui si congiungeva con quella di Villaretti e quella per il passo del Ghicet Paschiet che scende poi a Balme: è possibile che la cappella possa ricordare una tappa notturna della Sindone, a metà strada tra l'Autaret e Lucento: Lemie era un posto ideale, ben isolato da grossi centri e ben dotato di osterie accoglienti per un bivacco notturno.

Da notare che la chiesetta, per la sua posizione strategica, fu occupata dai partigiani che negli anni 1944-45 ne fecero la loro sede

logistica.

Il mattino seguente, il drappello con la Sindone ben ripiegata nella cassetta di cedro, di cm. 46x32x27, scese per la mulattiera verso Viù e dopo sei km. giunse a Fucine.

Poco sopra Fucine, nel valloncello della Viana, si trova la graziosa frazione di Venera, linda, luminosa e silente: la sua chiesetta è dedicata alla Sindone e risale probabilmente al Seicento, anche se ci offre vari dipinti sindonici piu recenti.

Ma da Fucine il drappello non pare che sia risalito a Viù: il tempo urgeva e pure la riservatezza della missione.

Scese quindi lungo la Stura fino ai Molini: qui si apriva sulla stura un passaggio per Col San Giovanni che poco oltre si biforcava per il valloncello solitario ed incassato di Richiaglio: luogo di solitudine piena, del silenzio profondo, del nascondimento totale.

Proprio di qui si avviarono i viaggiatori con una lenta ma comoda risalita per le mulattiere che portano fin sopra Valdellatorre per i passi della Portia e della Lunella, passando dai metri 750 della Stura fino ai 1.300 dei valichi con una dozzina di km.

Ma c'e qualche indizio? Certo! Proprio alla metà del vallone di Richiaglio, nella sperduta, remota ed ora del tutto diroccata frazioncina di Biulai, sorge nei boschi, presso la mulattiera, una nitida cappella dedicata a San Giuseppe ed alla Sindone.

Sopra il portale spicca una lapide marmorea scolpita in limpido Latino the dice: «Questo sacello fu costruito nell'anno del Signore 1731 in onore della Sindone e di San Giuseppe per iniziativa di Giuseppe Dragonerio servitore del Re (Regis famulus) it quale, confidando più nel Signore dei cieli che nei potenti della terra, lo diede in dono a Dio,,.

Come mai una chiesa in memoria della Sindone proprio lassù? Non potrebbe indurre a pensare che il domestico di Casa Reale potesse essere al corrente che di li era passata la Sindone?

Ma perchè passare dal vallone di Richiaglio cosi sperduto e fuori mano?

Proprio perchè i portatori delta Sindone dovevano scegliere il percorso più breve e nascosto: cosi facendo si evitavano i centri popolosi di Viù, e di Lanzo ed i numerosi paesi fino a Venaria, mentre da Valdellatorre in circa tredici km. si raggiungeva Lucento dove, nel castello, fin dal mattino del 5 settembre 1578, si trovava in trepida attesa il duca Emanuele Filiberto che nel pomeriggio dello stesso giorno potè accogliere la sospirata reliquia.

 

 Evitando cosi la discesa fino a Lanzo, si accorciava ulteriormente it tragitto d'una quindicina di km. cosicché, invece dei circa 77 km. dal confine francese per il passo d'Arnas e la Val d'Ala fino a Lucento, si dovevano affrontare soltanto 57 km. dal confine francese dell'Autaret con un cammino sicuro, discreto, agevole ed il più, breve possibile.

Forse sarà troppo aggiungere che, se corrispondessero a realtà le ipotesi qui espresso, sarebbe perfino possibile azzardare che la Sindone abbia logicamente potuto pernottare a Lemie tra il 4 e il 5 settemhre 1578?

Diciamo pure che quanto sopra esposto esprime soltanto delle ipotesi, ma mi pare che si possano ritenere motivate e plausibili.

Del resto, comunque sia passata in Piemonte la S. Sindone, poco conta: importa piuttosto che sia stata, sia pure fortunosamente ma provvidenzialmente conservata alla nostra devozione come struggente e preziosa testimonianza di quanto abbia accettato di soffrire Gesù per nostro amore, come Egli stesso evidenziò nell'ultima cena dicendo: «Quale amore più grande di colui che da la vita per i propri amici?» (Gv. 15,13).

Quando pensai di esprimere queste osservazioni, un mio caro amico "mi disse: "Vuoi divertirti a lanciare sassi in piccionaia?".

Credo ora di potergli rispondere che, se sono sassi, non mi pare che siano stati raccolti ne lanciati a vanvera.

  • don Luigi Caccia

 

 

In compagnia del carissimo dott. Gian Giorgio Massara ho per-corso 1'itinerario descritto, cosic-chè abbiamo la soddisfazione di vedere commentate, dal punto di vista storico-artistico, le testimo-nianze della devozione alla Santa Sindone nella Valle di Viù. Peccato che la chiesetta della Sindone di Biulai sia ermeticamente chiusa e non sia stato possibile rintracciare le chiavi in alcun modo. Per questo non è qui illustrata l'ultima traccia del nostro itinerario sindonico.

Posso aggiungere un cenno tratto da un articolo di Sindon 1975: <<I1 2 marzo 1746, mons. Ludovico Merlini, Nunzio a Torino, concedeva indulgenza di cinque anni ed altrettante quaran-tene ai fedeli che visitassero la cap-pella campestre sotto il titolo di S. Giuseppe e della Santissima Sindone sita nel territorio di Col San Giovanni in diocesi di Torino. E ovvio the in quella cappella vi doveva essere un affresco o un quadro della S. Sindone, se il Nunzio concedeva indulgenze ai fedeli che la visitassero "qualibet feria sexta">>.

Non mi resta che porgere anco-ra un grazie sentitissimo al dott. Massara per la sua cordiale e preziosa disponibilita.

don Luigi Caccia

 

A destra, positivo fotografico della Sindone, dalla foto di G. Enrie conservata nel Centro lnternazionale di Sindonologia di Torino.

 

 

 

Percorsi d'arte:

 

la Sindone in Valle di Viù

di Gian Giorgio Massara

Nel 1578 la Sindone viene trasferita - di nascosto - da Chambery a Torino.

Il piu illustre dei visitatori è certo il cardinal Borromeo che giunge nella capi-tale sabauda da Milano, percorrendo il cammino a piedi nell'arco di soli quat-tro giorni, per venerare la reliquia più significativa ed inquietante della Cristianità.

Oltre seicento sono le opere d'arte, ispirate alla Sindone, presenti nel solo Piemonte: affreschi, in particolare, studiati e catalogati dal salesiano don Giuseppe Terzuolo nell'arco dei vent'anni di ricerche.

E nella Valle di Viù - a PIAZZETTE - che sorge una bella chiesa, la rettoria di San Vito, storicamente importante, dai profili in pietra, con un altare in marmi policromi e pietra: al centro, su lamina metallica, un ovale raffigurante

tre angeli in atto di reggere la Santa Sindone, con ai piedi le due belle immagini di San Carlo e di San Francesco di Sales, l'uno con la fiammeggiante porpora cardi-nalizia, il secondo con la mozzetta vescovile violacea, anzi, piuttosto azzurrina.

La figura di San Carlo in vene-razione è presente in molte opere d'arte legate alla corte sabauda: infatti e proprio per evitare la fati-ca del viaggio attraverso le Alpi all'Arcivescovo di Milano che il duca trasferisce it Sacro Lino a Torino. Certo, il prestigio di con-servare la reliquia nella nuova capitale sabauda ha in parte determinato 1'evento.

Scendendo it corso della valle, a CHIANDUSSEGLIO, nella cap- pella di S. Anna, troviamo invece San Francesco da Paola in atto di venerare la Sindone: tela cui fa riscontro it dipinto custodito nella cappella del Santo Sudario di Chiandusseglio - Cappella di S. Anna:

Lemie, con la Sindone annodata S. Francesco da Paola venera la Santa Sindone.

 

 

 

Agli angoli superiori e la duplice immagine del corpo di Gesù resa con veristi-ca anatomia. La corona di spine, tre chiodi contorti (secondo it gusto dell'eta barocca, come conferma un dipinto conservato presso l'Accademia Albertina di Torino) simboleggiano e confermano la passione di Cristo.

 

Nella medesima cappella figurano due incisioni (una delle quali colorata) con l'annotazione "Berrin" e la scena dell'Ostensione net duomo di Torino in occasione di nozze regali. A margine, a penna, l'indicazione 1868.

La chiesetta della Visitazione sorge a ROMALETTO, immersa net verde sul sopramonte di Villa di Lemie; appese al muro (ma ora ben custodite) figurano tre minuscole cornici ricamate oppure realizzate con fili d'argento, al cui interno risulta: ora "il vero ritratto del Santissimo Sudario", ora 1'im-magine sindonica fra due bande fiammeggianti, ora un dipinto di color sanguigno. Si tratta di ex voto simili agli "Agnus Dei" the venivano portati indosso dai viaggiatori o da infermi per propiziare i favori celesti e the al termine del viaggio

 

o della malattia ve-nivano portati alla chiesa come ringra-zamento (1). "

Continuando la strada verso Viu si sale alla frazione VENERA: e qui che visitiamo una cap-pella dedicata alla Sindone, affacciata; su di una minuscola, simpatica piazza vigi-lata dalla signora Ginota Durando Fino, arzilla e vivace con i suoi quasi 97 anni. La cappella ospita ben tre immagini di carattere sindonico. Il dipinto più piccolo raffigura S. Carlo Borromeo in vene-razione della Santa Sindone secondo la usanza presente nel Vercellese e in un dipinto parrocchiale di Revigliasco.

Venera: Cappella delta S. Sindone.

 

(1) Anche a Venera (Viu) sono conservati tre "Agnus Dei" con l'immagine della Sindone.

  

 Venera: quadro del portantino Andrea Gonetto.

 La seconda opera su tela, ottocentesca, reca la dedica "Andrea Gonetto portantino"; vi e raffigurata la Vergine Addolorata affiancata da due angeli in atto di reggere it sacro lino: tale iconografia trova l'esempio piu illustre in un dipinto di Palazzo Madama a Torino, ma non e insolita nella bassa valle di Lanzo giacche la si vede a Fiano nella cappella di S. Anna e nel-l'icona posta sopra l'altar maggiore della cappella della Sindone di Grosso Canavese (2).

Ma è l'ultima grande tela ad attrarre la nostra particolare attenzione: è animata da ben quindici personaggi posti al di sotto di una duplice arcata the potrebbe simboleggiare un padiglione per Ostensione di corte; infatti l'Ostensione avviene alla maniera di Chambery e trova rispondenza tanto nel-1'incisione su rame di Carlo Maillon (1579) quarto in un lunario del 1688 nel quale parimenti tre vescovi mostrano la Sindone, mentre ai lati stanno i tedofori con le fiaccole accese e due personaggi sabaudi.

Nel dipinto di Venera, accanto ai Vescovi in solenni paludamenti e mitra, figurano due duchi sabaudi in funzione di diaconi, con il collare dell'An-nunziata, personaggi da identificarsi quasi con certezza in Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele 1.

Si tratta dunque di un dipinto derivato da un'Ostensione "con gruppo di famiglia", tipologia in atto dopo il 1642, nel quale figurano altresi, con

 

 

(2) Alla cappella di Venera. ma ora ben conservalo altrove, era it volumetto stampato nel 1796 dedicato alIorozione panegirica sulla S. Sindone recitata dall'abate D. Nicola Monlanari (con sonetto).

 

tipico rocchetto, due custodi della S. Sindone (detti del Clero Palatino della Sindone) (3).

 

La parte riguardante direttamente it Sudario rivela una marcata anatomia del corpo di Cristo, con le toppe dell'incendio di Chambery ben evidenziate, intese quasi come decorazione (come accade nell'incisione della "Prima solen-ne Ostensione" del 1578); torna allora alla mente l'intendimento di far conoscere a tutti i cristiani, di Colui al quale devono la loro salvezza, anche le fattezze umane con cui si degnò di aggirarsi tra gli uomini (4).

Una bella cornice accoglie la tela; nella parte superiore risultano scolpiti i simboli della passione di Gesu (5).

La Sindone giunge in Piemonte, come si e detto, definitivamente nel 1578. Dedicano a questolenzuolo versi e pagine letterarie il Tasso e 1'Arpino.

 

 

- Torquato Tasso:

  • - “Nutri quest' alma si penosa ed egra la qual sospira, e mentre ferve e langue in Dio to la ristora c riconforta tal ch'ella adori in questo corpo integra la divina sostanza, e in questo sangue meraviglioso, onde la morte è morta”.
  •  

 

Giovanni Arpino:

  • La cosa più povera, più lacera, più disposta a mostrare la sua povertà e le sue lacerazioni, è quel lenzuolo. Offre solo un'Orma. E in quell'Orma offre l'ignoto che noi siamo».

 

Lemie, luglio 1997

Gian Giorgio Massara

(3) Un ovale di grande dimensione (ma molto da restaurare) della cappella di San Matteo a Pessinea raffigura la Vergine in atto di prescntare it bozzetto di una basilica; ai lati i santi Marco, Antonio, Michele c Giovanni Battista. Al centro un personaggio sabaudo con manto di ermellino e collare dell'Annunziata che dovrebbe rispondere ad Amedeo IX (+ 1472), duca sabaudo pure rap-presentato e venerato nella cappella S. Giulio di Forno di Lemie (1486), assai devoto della Sindone e istitutore di una particolare liturgia. Amedeo di Savoia compare per la prima Volta in alto di reggere la Sindone nel 1631.

Un fac-simile della Sindone veniva donato a chi era insignito del Collare dell'Annunziata.

(4) Cfr. AA.Vv., La Sindone di qua dai monti, Trino Vc. 1978, scheda V.

(5) Come nella parrocchiale di Lemie, uno dei reliquiari contiene un frammento della Croce. Opere purtroppo allontanate dalla loro sede naturale per sottrarle ai furti imperversanti.

 

Perchè non fare come in Valle d'Aosta? Un piccolo museo ben protetto in una parte della par-rocchiale ove esporre tanti oggetti d'arte the significano la storia e la fede di coloro the ci hanno preceduti: segno di sana ambizione e di inenarrabili sacrifici al tempo stesso.

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